Dopo aver scoperto meglio in cosa consiste la figura del produttore, continuiamo i nostri approfondimenti riguardanti tutti quei soggetti che gravitano attorno al mondo video musicale e che contribuiscono in maniera fondamentale alla riuscita delle clip che ogni giorno vengono caricate online, pronte a ricevere visualizzazioni e critiche.
Oggi abbiamo il piacere di ospitare sul nostro sito Silvia Ortombina, fondatrice dello studio creativo milanese TINY IDOLS (facebook – instagram), che si occupa dello styling e della direzione costumi per il mondo della pubblicità e della moda ma soprattutto per quello della musica, curando lo stile degli artisti sia durante i live show che sul set dei promo musicali.
Ciao Tiny Idols! Prima di tutto, come state? Come state passando il tempo durante il lockdown?
Stiamo bene: ognuno è nelle proprie case, sparse per il mondo. Purtroppo tutte le ragazze straniere sono state richiamate ai loro paesi ed ora, dopo la quarantena di isolamento in ospedale, sono rientrate a casa in lockdown. Personalmente, cerco di rimanere sempre attiva, mi alleno, pratico sia yoga che meditazione in varie forme, ora ho intensificato sia questo che il livello creativo.
Fortunatamente ho una casa studio dove poter creare e ne approfitto per continuare con tutta l’attività di custom, tiedye e di rework su qualsiasi cosa mi capiti sottomano interagendo con la community online tramite Instagram.
Raccontateci un po’ di voi. Com’è nato il progetto e come si è sviluppato?
Tiny Idols nasce 5 anni fa, in un periodo molto intenso di lavoro. Ho sempre avuto l’idea di team ed ho incontrato nel corso degli anni molte persone che hanno supportato questa visione fino a diventarne parte. Da qui Tiny Idols, un team dinamico, creato su misura in base al progetto attraverso una rete di figure freelance selezionate.
Collaboro con NABA DOMUS ed altri istituti di moda e comunicazione per le internship. Da un paio d’anni lavoro con Diletta Pecchia, designer e stylist con cui sto sviluppando una capsule di calze tiedye con Fabbrica Supplies e una linea di denim rework in collaborazione con vari artisti.
In cosa consiste esattamente il lavoro dello stylist nei video musicali?
Lo stylist, in generale, appartiene alla sfera della comunicazione: comunica un messaggio attraverso studio, ricerca, sviluppo e coordinamento di un guardaroba combinato. In ambito musicale richiede un livello di sensibilità ancora più alto, un background ancora più complesso, un’attitudine naturale al confronto empatico, per trasmettere la propria visione all’artista.
E’ un lavoro che può invadere la sfera privata, fino a diventare uno stile di vita. Molto spesso il fascino di questo lavoro, le sue aspettative, i pregiudizi, sono un autosabotaggio ed è facile entrare nel caleidoscopio dei cliché, senza il coraggio di andare oltre. Ci si trova davanti a problemi da risolvere, ad una mole di informazioni e variabili impazzite da gestire in velocità, bisogna essere dotati di un forte autocontrollo, creatività intuitiva, esprimere un immaginario e cucirlo addosso ad una personalità.
Come vi siete avvicinate al mondo della musica?
Sia la passione per il mondo della moda che per la cultura dello spettacolo è viscerale, di sangue: mia madre aveva un’azienda di moda con sua sorella, ho visto mio zio studiare e partire per Monaco come designer in Puma e mia nonna cucire i miei primi vestiti su misura. La musica è nella mia vita da sempre, sia con la danza, che con vari strumenti che ogni tanto suono ancora. Poi, in modo molto naturale, ho iniziato a cavalcare un’onda: sono partita dall’internship nell’ufficio creativo di una famosa casa di produzione, ancora laureanda in Comunicazione e a studiare i riferimenti dell’immaginario nel sistema costume/musica facendo una tesi con un’analisi comparata tra Fellini e David Lachapelle.
Era il 2006, gli anni di Cunningham, Gondry, Lachapelle, Spike Jonze ed è stato subito amore totale. Ho iniziato a lavorare prima su alcuni videoclip di artisti indipendenti e subito dopo sui grandi big della scena pop italiana. Nel 2009 ho comunque voluto fare un master, anche se già avevo l’agenda piena, e sono stata selezionata da Vogue Italia con il mio primo custom, fatto di filati e tessuti riciclati. Dopo aver vissuto a Milano per un po’ ho deciso di trasferirmi. Il mio percorso da freelance si è sviluppato poi in modo trasversale non solo nel campo della musica e degli editoriali, ma anche come costumista per spot televisivi e campagne adv.
Grazie a dei progetti molto speciali sono arrivate anche nomination a livello internazionale come BEST COSTUME DESIGN per Sextatic nel 2014 BEST IMAGINERY con Sono sempre i sogni a dare forma al mondo videoclip per Luciano Ligabue nel 2015, entrambi con un team molto speciale di cui fanno parte Pablo Patanè e Valentina Be, una seconda famiglia.
Adesso che siete una realtà consolidata qual è il vostro metodo di lavoro quando dovete approcciarvi ad una clip?
La realtà si consolida attraverso un metodo plastico, deve plasmarsi alle esigenze delle parti coinvolte, evitando di piegarsi troppo alle condizioni che molto spesso ci vengono imposte dal sistema.
L’approccio giusto non è a prescindere: la realtà come team si è consolidata proprio per questo, attraverso il vantaggio di trasferire il mio know how ad altri freelance, di creare una sinergia per sperimentare e andare oltre, attraverso visioni diverse che creano una sintesi. Credo che questa sia la base fondamentale per far crescere il mercato in un modo sano: creare sinergie, e perché no, quando un progetto non è nelle nostre corde, riconoscerlo e dare la possibilità a qualcuno che possa dare un valore aggiunto reale.
Ci sono differenze nel curare lo stile e i costumi di uno spot o di una campagna pubblicitaria, rispetto ad un video musicale?
Ogni contenuto, ogni artista, ogni fotografo, ogni regista, ha la propria anima e la prima grande regola è rispettarne la natura. Il lavoro di styling implica una sensibilità sottile rispetto ad ogni progetto, una premura ed una cura esclusiva, una ricerca dedicata. I meccanismi devono tenere conto delle policy, dei target, del momento storico, del percorso, dei trend, degli obiettivi.
Da chi viene contattato lo stylist? Etichetta, artista, regista, produttore?
Lo stylist può essere contattato da tutti questi soggetti, con i quali avrà un rapporto più o meno formale. E’ capitato di essere contattate da un produttore e di aver sviluppato poi, attraverso il singolo contenuto, un rapporto che con l’artista è durato anni, come di essere prima contattati dall’etichetta e poi dall’artista singolo, anche se i rapporti con l’etichetta si erano interrotti.
Le esperienze più incredibili arrivano quando il rapporto diretto con l’artista continua attraverso un percorso senza filtri e ci sono tempi, modi e risorse per creare. Lì è una magia.
Avete notato qualche differenza sostanziale lavorando con nomi grossi e major (Elodie, Fedez, Salmo, Negramaro) piuttosto che con etichette e artisti indipendenti (Gazzelle, Irbis 37)?
La differenza sostanziale è data dal valore, dal significato che danno i soggetti allo styling. In alcuni contenuti è fondamentale e viene riconosciuto, altre è marginale, quasi un esercizio tecnico, a volte funzionale alla narrativa, sempre maggiore è il rapporto con il placement quindi è necessario avere in ogni caso un ottimo rapporto con tutti i reparti, una comunicazione continua con chi si occupa del branding.
Ogni limite diventa una grande opportunità se si sa cogliere in modo creativo, motivo per cui tantissimi contenuti low budget diventano dei cult veri e propri.
Avete qualche aneddoto particolare o divertente da raccontarci?
Ci sono sempre imprevisti o variabili impazzite, condizioni che non detti tu, come le spedizioni o fornitori poco seri e criticità di produzione. Per questo ho sempre un piano B e un piano C almeno all’altezza del piano A, se non oltre.
Cercate di dare sempre una vostra impronta, un marchio di fabbrica riconoscibile o preferite mettervi al servizio del progetto di turno?
Lo stile non è una scelta, è un insieme di fattori dati da ricerca, sperimentazione, esperienza, credibilità: nasce da una fine combinazione di elementi, colori, dettagli, per arrivare al confronto aperto e trasparente con un’altra personalità, artista, regista o fotografo che sia.
Poi ti chiamano, ti scrivono e ti chiedono come fai a renderlo riconoscibile. Ma come si fa a spiegare un gusto, un sapore?
Quanto conta e quanto vi influenza lo stile del regista o dell’artista con cui collaborate?
Ad ogni progetto, essendo così unico, appartiene una fase creativa. La creazione di moodboard presuppone la ricerca di reference ad hoc, la nascita di piccoli mondi, immaginari costruiti per rendere l’artista iconico. Uno schema fatto di ispirazioni che tu hai il grandissimo potere di dare e l’enorme responsabilità di tradurre, di trasferire al pubblico attraverso un accostamento, un colore, un accessorio, un vestito.
E’ incredibile vedere poi come tutto si sintetizzi in un frame. L’influenza è fondamentale, altrimenti in quel frame ci sarà qualcosa che non torna, e si vedrà subito. Per questo che decidere se, come e in quali condizioni collaborare oggi diventa importante, perché la sinergia tra reparti fa la differenza sostanziale sul contenuto stesso.
Quali sono i lavori in campo musicale che vi hanno dato più soddisfazione?
La soddisfazione è proporzionale a vari fattori, sicuramente il primo è il livello di dialogo che si crea con l’artista o il confronto con la regia. C’è chi è completamente integrato nel mondo moda e quindi si possono avere dei risultati importanti a livello di visibilità, con alcuni invece l’approccio è totalmente outsider, si crea una contaminazione di stili e la sperimentazione totale.
Ultima domanda, quasi d’obbligo: c’è qualche artista (italiano e non) con cui vi piacerebbe collaborare?
Adoro Asap Rocky e sicuramente collaborare con lui avrebbe risvolti importanti nel mondo moda, ma i miei due punti di riferimento rimangono sempre Tyler, the creator e Frank Ocean: entrambi hanno saputo tradurre il loro personal branding in un’estetica, ricreando ogni volta un immaginario con coraggio, senza tralasciare il livello musicale, portando l’avanguardia al mainstream.