Inauguriamo la nostra serie di approfondimenti sui giovani registi di videoclip italiani, con questo focus sul calabrese Giacomo Triglia.
Laureatosi in arti visive e discipline dello spettacolo presso l’Accademia delle Belle Arti di Reggio Calabria, Triglia comincia a girare video per passione nel 2008. Grande appasionato di cinema, all’epoca aveva già realizzato alcuni cortometraggi con i quali era stato selezionato a diversi festival di rilievo (con “Jørgen Son” addirittura al Torino Film Festival). Nell’ambito videomusicale, sarà fondamentale l’incontro con Brunori Sas. Questi gli commissionerà un primo video nel 2009 – Come stai – dando un input fondamentale alla carriera del nostro.
Attualmente vive a Cosenza, dove ha fondato il Tycho Creative Studio, che porta avanti progetti che spaziano dal music video all’illustrazione e alla grafica. Con lui collabora Mirella Nania, illustratice che funge anche da assistente alla regia e il cui lavoro diventa deciso protagonista quando nei videoclip prevale l’animazione (si vedano in particolare Simona Molinari feat. Gilberto Gil – Sampa Milano e Francesca Michielini – Un cuore in due)
Nei primi anni, la qualità produttiva è fortemente limitata dai budget ridotti e dalla qualità dei commissioner. Triglia non ha mai l’occasione di lavorare a singoli in grado di entrare prepotentemente nelle rotazioni radiofoniche e televisive nazionali ed è spesso costretto a fare dell’arte dell’arrangiarsi il suo lavoro.
In questa prima fase della sua carriera, alcune caratteristiche ritornano con continuità e faranno parte del suo corredo stilistico anche negli anni seguenti: la passione per i formati analogici e low-fi; la presenza di macchinari strampalati; cianfrusaglie retrò; foto alle pareti possibilmente animate. Si segnala inoltre un certo gusto per il pauperismo esibito: lo si nota nella predilezione per gli effetti speciali caserecci e per il fatto di preferire al travestimento accurato maschere da pochi soldi o, ancora, fatte in casa, secondo uno “stile art-attack” che ben si addice al tono spesso nostalgico-malinconico dei suoi video.
Pur costretto al performance video per ragioni promozionali, di tempo e di budget, Triglia quando può non disdegna l’inserto narrativo. Spesso e volentieri virato al surreale o al grottesco, con allegorie e metafore dal significato intuibile. Si vedano le collaborazioni con Il Cielo di Bagdad (Lalala Song e It’s Over) e Dimartino (Cambio Idea, vedi la gif sopra).
Questo sforzo, Triglia sa dirigerlo verso terreni di ricerca nel video indipendente italiano, ma anche su sentieri consolidati quando si tratta di piegarsi alle logiche del mainstream. Ne è forse l’esempio più lampante il video girato per Irene Grandi, Un vento senza nome: qui lo sguardo dell’artista e la sua performance fanno da “registi” della piccola storia – una madre single con le sue difficoltà e il rapporto col figlio come via verso una ritrovata felicità. Un quadro stereotipato e retorico, ad uso e consumo dello spettatore/ascoltatore medio narcotizzato. Pura ficiton Rai, ma con un look cinematografico/pubblicitario, come potete vedere qui sotto.
Vero punto di forza di Triglia sono le collaborazioni con le cantautrici. Nel 2011, ad esempio, ribrandizzava Maria Antonietta in Quanto eri bello. Stringeva poi un sodalizio con Simona Molinari: dalle illustrazioni di Mirella Nania per la già citata Sampa Milano, ai visual eleganti ma che non impegnano del raffinato jazz di Smoke Gets In Your Eyes. E con Cristina Donà: il rimuginare surreale sulla fine di un amore in Così vicini (tema che ritornerà nel recente 1993 per Boosta, dove realizza il remake di Eternal Sunshine of the Spotless Mind) e il pullulare di fantasmi in Il senso delle cose.
Con Francesca Michielin
Forte di queste esperienze, Triglia comincia a collaborare con la vincitrice di X Factor Italia Francesca Michielin. L’esordio è con L’amore esiste (difficile ricordare un titolo più banale pure nell’ultra conservatore pop italiano…) primo singolo estratto dal secondo album della cantante bassanese. Come Tycho Studio, Triglia e Nania realizzano anche l’artwork per il singolo.
Il regista decide di realizzare un classico iconic video (vediamo Michielin reimpire lo schermo per quasi tutto il video, con 5 look diversi), movimentandolo con un prisma-caleidoscopio, oggetto-feticcio ripreso anche nella copertina. Così alcuni inserti interrompono la componente performance del video, rendendolo più dinamico.
La successiva collaborazione, Battito di ciglia, rappresenta sicuramente il miglior risultato di questo connubio. Come sempre, Triglia si fa guidare dalle lyrics creando stavolta un mondo originale e bizzarro, dove reinventa anche i movimenti della sua macchina da presa. Una maggiore cura dei dettagli e un’attenzione superiore al montaggio (si pensi ai tagli “indietro-avanti” che spezzano la continuità, ma in maniera coerente col testo) fanno di Battito di ciglia un video coeso e armonioso.
Peccato che in seguito Triglia e Michielin abbiano preferito battere sentieri classici della videografia italiana, con altri tre iconic video senza grandi spunti. Il disimpegnato Lontano (addirittura con le farfalle in cgi) e 25 febbraio (lei oggi/lei bambina), infatti, ripetono la formula de L’amore esiste.
La collaborazione è comuque lodevole, per la sua corenza. Triglia illustra infatti tutti i singoli estratti dall’album, compreso Nessun grado di separazione, brano sanremese della giovane cantante che lancia il terzo disco di20are (in pratica una riedizione di di20 con qualche aggiunta): qui i diversi feticci e motivi visivi che caratterizzavano i precedenti video, ritornano come a chiudere un cerchio.
Infine, per l’ultimo video ad oggi, Un cuore due, Triglia si appoggia alle illustrazioni di Mirella Nania: After Effect come se piovesse e una generale sensazione di occasione persa. Alcune sequenze sono davvero azzeccate, ma sono molte anche quelle che sanno di già visto.
Con Brunori Sas
Come abbiamo già scritto, è la commissione di Come stai a dirigere la carriera di Triglia in modo deciso verso la videomusica. Per questo brano, il regista calabrese abbozza la classica narrazione minima del videoclip – il cantante/protagonista percorre un breve viaggio che lo porta al concerto -, agitando il tutto grazie ad alcuni azzeccati tocchi surreali e un efficace sintesi dell’immaginario dietro l’album di Brunori (la chitarra trovata in spiaggia, il Super Santos, una statuetta di Padre Pio). Una menzione anche per l’air-orchestra che accompagna la performance live: metafora dei pochi mezzi e tanti sogni che contraddistinguono la produzione musicale e audiovisiva fuori dai circuiti mainstream.
Per Guardia ’82, Triglia segue quasi pedissequamente il testo, applicandovi uno stile a metà tra il documentario e il filmino delle vacanze (macchina a mano e zoomate brusche) come corrispettivo del cantautorato tradizionale di Brunori. Anche in questo video, il cantante percorre un breve tragitto che lo portano al concerto in spiaggia.
Due anni più tardi, per il secondo album di Brunori, Triglia dirige Rosa. Si tratta di un performance video low-budget, dove però il regista riesce a sfogare la sua creatività facendo sfilare diversi personaggi – alcuni rimandano alla storia narrata nella canzone, altri invece donano un che di grottesco al risultato finale – in una location tanto inusuale quanto azzeccata: il retro di un deposito di materiali edili.
Le due successive collaborazioni si limitano ad un live video delle registrazioni, ospitate in un convento, e ad un video basato sul tour estivo del cantante, dove appaiono evidenti i limiti produttivi di tempo e di denaro.
Infine, Triglia è tornato a collaborare con Brunori con un video pubblicato lo scorso dicembre (ma ha anche girato un documentario per Sky Arte, dedicato alla realizzazione dell’ultimo album, A casa tutto bene). Si tratta, ad ora, dell’ultimo video di Triglia e possiamo affermare che si tratta anche del più convincente. Scritto dallo stesso Brunori, La verità mostra la mano ormai salda del regista calabrese nella direzione attoriale e nello sviluppo narrativo.
Conclusioni
Faticosamente ma con pieno merito, Triglia è passato dalle produzioni indipendenti, a carattere quasi regionale potremmo dire, al mainstream italiano. Se prima il problema era doversi arrangiare con i pochi mezzi a disposizione, ora si rischia invece di rimanere schiacciati dalle logiche conservatrici del pop italiano. Sarebbe un peccato: Triglia ha uno stile riconoscibile e vivace, nonché maturo, come dimostrano i suoi lavori più recenti – in particolare, Battito di ciglia, 1993 e La verità. Speriamo di poterne ammirare i frutti.